1943-07: 26 – Le vicende di Alfonsine

26.07.1943 - Le vicende di Alfonsine

Danifestazione un piazza, distruzione simboli fascisti, raid antifascista a Longastrino.

Nel primo pomeriggio del 26 luglio si ebbe una grande manifestazione di popolo nella piazza Vincenzo Monti: migliaia di persone, uomini e donne, operai, contadini, artigiani, piccoli proprietari, piccoli commercianti, manifestarono la loro gioia per la fine della tirannide fascista, con la speranza che la guerra sarebbe cessata e che sarebbero state ripristinate le libertà democratiche. Fu in quella manifestazione che la folla, passando davanti alla casa del fascio (luogo in cui durante il periodo del ventennio molti lavoratori antifascisti erano stati portati a forza, malmenati, bastonati, insultati, per le loro idee politiche avverse al regime), di scatto, buttò fuori tutte le insegne, le sigle, i ritratti, i documenti, facendo con tutto un grande falò sulla pubblica piazza. In quello stesso giorno fu incendiato l'ufficio del dazio, ritenuto strumento fiscale e repressivo contro tutta la povera gente (infatti l'ufficio in questione era gestito da una ditta privata che i fascisti insediati al Comune avevano privilegiato). Mente i partiti politici antifascisti e le masse lavoratrici si attendevano dal Governo Badoglio una presa di posizione contro i tedeschi, venne il primo comunicato che affermava «la guerra continua su tutti i fronti». Poi l'annuncio del coprifuoco dalla sera alla mattina, il divieto di assembramento e di manifestazioni pubbliche, la libertà vigilata.

Il 27 luglio arrivò ad Alfonsine un presidio militare dell'esercito con l'intento di controllare la cittadina, di fare osservare le leggi (che erano sempre quelle fasciste) e di far rispettare le regole del coprifuoco. I militari, e soprattutto gli ufficiali, erano molto rigorosi nel fare osservare le disposizioni. L'intransigenza dei militari nell'osservare le drastiche disposizioni, in particolare in materia di coprifuoco, comportò il ferimento ad una gamba di un certo Scudellari, barbiere, che incautamente si andava aggirando nella tarda serata nei pressi della sua abitazione. Nonostante ciò, il 27 luglio vi fu un'altra grande manifestazione di popolo guidata dai partiti antifascisti in piazza Monti, e le parole d'ordine della manifestazione furono la cessazione immediata della guerra, il rilascio di tutti i prigionieri politici ancora rinchiusi nelle carceri fasciste, una presa di posizione contro l'occupante tedesco. Gli ufficiali del presidio tentarono di limitare la grande portata della manifestazione con le armi in mano, ma non vi riuscirono. Prima che la manifestazione terminasse, parecchi dei manifestanti si recarono a fare visita a diverse case di ricchi gerarchi, ove trovarono grandi scorte di vivande. Infatti, mentre il popolo doveva nutrirsi con la tessera del razionamento, le case dei ricchi gerarchi erano ben fornite di tutti i generi di conforto. Detti alimenti furono sequestrati, portati in luogo pubblico e distribuiti alle famiglie più bisognose. Nella stessa giornata del 27 vi furono degli antifascisti del centro e della periferia che, con camion e biciclette andarono a fare visita alle case del fascio delle frazioni del Comune, distruggendovi tutte le insegne ed ogni sigla che ricordasse il vecchio regime. All’azione si associò la popolazione del luogo. [1]

La mattina del 26 luglio, l’argomento del giorno furono le notizie che la radio aveva diffuso la sera della domenica 25 annunciando la caduta del fascismo. Gli antifascisti si mobilitarono con solerzia per organizzare nel pomeriggio una forte manifestazione popolare. Mario Cassani (“Màrii”) e Camillo Bedeschi (“Carlì”), assieme ad un gruppo di cittadini, in bicicletta iniziarono invece la “visita” alle Case del fascio delle frazioni, recandosi a Madonna Boschi, Anita e Longastrino. Nelle due prime località non trovarono ostacoli di sorta, anzi con l’ausilio di parte della popolazione che già manifestava, iniziarono a distruggere le insegne e i simboli del decaduto regime devastando praticamente le sedi dell’ex fascio.

A Longastrino i due, alla testa di numerosi cittadini, intendevano applicare la stessa procedura, ma a presidio della Casa del fascio trovarono il maresciallo dei carabinieri e quattro carabinieri con le armi in pugno in posizione di attacco. Infatti, all’avvicinarsi del corteo dei dimostranti, il maresciallo intimava il divieto di procedere oltre, in quanto le direttive del Governo Badoglio comportavano lo stato d’assedio e l’intervento drastico delle forze dell’ordine. Di fronte a tale comportamento Cassani e Bedeschi, che erano alla testa del corteo, per nulla intimoriti, escogitarono il contrattacco e al grido di “Viva Badoglio” e con la pressione dei dimostranti sopraffecero il picchetto armato dei carabinieri e del suo maresciallo ed entrarono a forza nella sede del fascio di Longastrino. Distrussero quindi simboli e le suppellettili del vecchio regime che finirono in un ardente falò sulla strada antistante. Finito il raid lo stesso maresciallo e la sua scorta accompagnarono per un lungo tratto di strada i due che rientravano ad Alfonsine. Nel congedarsi il Maresciallo salutò militarmente i due protagonisti. L’entusiasmo e la partecipazione massiccia di cittadini in ogni località determinò il collasso della boria dei fascisti locali che di fronte alla nuova situazione preferirono sparire dalla circolazione e trovare nascondigli più sicuri. Alcuni antifascisti, che durante il ventennio furono oggetto di soprusi e di bastonate, manifestarono la loro legittima reazione nei confronti di alcuni fascisti casualmente incontrati. L’accaduto costituì un incentivo all’esodo dei fascisti: La notte del 27 luglio, lo stesso maresciallo dei carabinieri, su ordine della prefettura di Ferrara, arrestava Mario Cassani in quanto ritenuto attivo antifascista e diretto protagonista delle manifestazioni in contrasto con le drastiche ordinanze del Governo Badoglio. Dopo l’8 settembre, il prefetto di Ferrata, prima di lasciare l’incarico, disponeva la scarcerazione degli arrestati del periodo badogliano, talché il Cassani tornava libero.

(testimonianza del sig. Mario Cassani, ex sindaco di Alfonsine, rilasciata all’autore)                         

[1] Dagli scioperi del 1943 nelle città del nord alle elezioni amministrative del 1946, in Convegno di studi sulla resistenza 11-12 aprile 1974, a cura del Comitato comunale unitario antifascista della città di Alfonsine, Bologna, Graficoop 1975, pp. 76-77

 

Da: Giannetto Gaudenzi, Le calde giornate di fine luglio 1943 nei rimanenti Comuni della provincia, Centro Stampa Comune di Lugo, maggio 2009