3.06_Madonna del Bosco di Alfonsine

Madonna del Bosco di Alfonsine

La nascita del culto si lega ad un evento luttuoso.

 

"Verso la fine di marzo dell'anno 1714 si faceva taglio di pia[n]te per commando, e servizio de Sig.ri Spreti nel bosco di una sua tenuta, detta la Raspona [...]. Accadde dunq[ue] per disposizione di quell'Iddio, il quale è l'arbitro sì della vita, che della morte d'ogn'uno, che una di quelle piante che si tagliavano, investita nello stesso tempo da più ga­gliardi colpi venne a cadere come all'improvviso con tutto il corpo et un suo grosso ramo percosse così malam[en]te, in testa un povero contadi­no che con un altro compagno s'affaticava con la scure alla piè d'un albero vicino per atterrarlo che vi rimase morto sotto miseram[en]te. Chiamavasi egli Domenico poco in testa..." [1]. Così esordisce nelle primissime pagine il “manoscritto Fiori”, documento oggi perduto ma conservato in duplice copia alla Biblioteca Classense di Ravenna a cui dobbiamo le notizie sulla genesi della venerazione alla Madonna del Bosco. Il registro dei morti della chiesa arcipretale di Alfonsine precisa la data della morte dello sfortunato bracciante: 10 aprile 1714.

La nascita del culto si lega dunque ad un evento luttuoso: in occasione della potatura nella tenuta “La Raspona” di Alfonsine di proprietà dei Marchesi Spreti, il contadino Domenico Pochintesta perse la vita a causa della caduta di un grosso ramo. Come da usanza in questi casi, venne collocata su un albero attiguo al luogo dell’incidente un’immagine, in questo caso su iniziativa del fattore dei marchesi, Matteo Camerani, che donò una maiolica di sua proprietà raffigurante la Vergine col Bambino. Si trattava di "un quadretto di maiolica in bassorilievo con doppia cornice ottagonale; la Vergine vi era figurata seduta col Bambino in braccio, appena coperto da una benda a' lombi, e la madre con manto arabescato a fiori e coronata siccome il Bambino"[2], che il fattore e la moglie conservavano devotamente sopra al letto di casa.

Trattandosi di una zona di passaggio (da lì partiva “il Passetto”, il traghetto per attraversare il fiume Po) in molti fermavano a pregare, ed i primi prodigi non tardarono ad arrivare. Già nell’estate del 1714 una donna di Piangipane, Antonia Battaglia, malata ed inabile a qualsiasi lavoro, chiese aiuto alla Vergine, ottenendo la guarigione. Stessa sorte toccò, nel maggio dell’anno seguente, ad una giovane alfonsinese oppressa da forti dolori alla vita. La voce dei prodigi si sparse ed il culto si diffuse rapidamente attirando numerosi credenti, tanto da convincere il Camerani a ricollocare l’immagine sull’albero originario, spoglio e pericolante: alla collocazione della sacra effigie questo immediatamente tornò a nuova vita, mentre l’albero che temporaneamente aveva accolto la Madonna venne spogliato completamente dai fedeli bramosi di una reliquia. Una terza grazia si verificò nel Luglio 1715, quando Andrea Baldassarre Bonanzi condusse il piccolo figlio Raimondo presso la sacra immagine, in quanto colpito da febbre continua ed impossibilitato a mangiare. Il bambino guarì all'istante e il padre, notaio ravennate, si affrettò ad autenticare la grazia. I fedeli costruirono un altare artigianale a venerazione dell’immagine: una capannina di stuoie, una tavola di legno, alcune candele, un lanternino e due strutture che raccoglievano “voti, tavolette, archibugi, pistole spezzate, grucce, vezzi di coralli, anella, ed altri ornamenti femminili. Né a decorare il quadretto mancarono appresso bei doni, fra' quali un cristallo da ricoprirlo che mandava la pietà della contessa Samaritani ravignana” [3]. Ben presto però cominciarono le controversie per il possesso dell’immagine, per quindici mesi custodita spontaneamente dal Camerani. Verso la fine di luglio del 1715 il Vescovo di Cervia Mons. Camillo Spreti, in villeggiatura nella sua villa della parrocchia di Santerno, venne a conoscenza che nella tenuta di Alfonsine della sua nobile famiglia si trovava un'immagine miracolosa. S'informò presso il fattore Camerani e si fece consegnare le offerte raccolte che superavano i quattrocento scudi, e volle che in futuro fossero affidate a lui. Informò il vescovo di Faenza, il Cardinale Giulio Piazza, Legato di Ferrara, dove pertanto aveva la sua dimora, dell'intenzione della sua famiglia di innalzare una chiesa intitolata alla Vergine del Bosco, viste le innumerevoli offerte. A un'eventuale mancanza di danaro avrebbe supplito la famiglia Spreti. Ma il 5 agosto, festa della Beata Vergine della Neve, l'arciprete di Fusignano e provicario di Alfonsine Don Francesco Maria Rocchi, su mandato del Vicario Generale di Faenza Mons. Piccarelli, andò a Madonna del Bosco con l'intenzione di portare a Faenza l'immagine, dopo aver avvisato per lettera Mons. Spreti. La chiesa di Alfonsine dipendeva a quei tempi dall'arciprete di Fusignano, non era ancora parrocchia autonoma e il suo incaricato era denominato Rettore. Su entrambe le parrocchie avevano il giuspatronato i marchesi Calcagnini di Fusignano. Mons. Spreti, Vescovo di Cervia, aveva appena ricevuta la lettera del cardinale Piazza che era favorevole alla proposta fatta di costruire lì una chiesa, quindi si incontrò con don Rocchi e insieme stabilirono che l'immagine doveva rimanere dov'era, con gran sollievo dei fedeli. Ma il 16 agosto, con una lettera del Vicario Generale di Faenza Mons. Piccarelli, di nuovo don Rocchi si presentò per togliere a tutti i costi la targa dall'albero. Mons. Spreti che si trovava ad Alfonsine accorse immediatamente, ma dovette rispettare i poteri di Mons. Piccarelli e acconsentire alla rimozione dell'immagine. Intanto moltissimi fedeli erano accorsi per impedire tale allontanamento. L'incaricato che doveva staccare l'immagine dall'albero non vi riuscì, nonostante i violenti sforzi per rimuoverla. La gente intorno esultò di gioia al nuovo miracolo, che fu interpretato come un indiscutibile segno della volontà divina. Al provicario don Rocchi non restò altro che desistere dall'impresa. Mons. Spreti affidò allora l'incarico di custode temporaneo della cura dell'immagine e delle offerte a un suo famigliare, don Francesco Gamberoni. Le offerte superavano ormai i mille scudi, e i doni preziosi ammontavano ad un valore di duecento scudi. Il nuovo rettore della chiesa S. Maria di Alfonsine don Agostino Tosini andò di nuovo alla curia vescovile di Faenza per portare alla chiesa di Alfonsine l'immagine e le elemosine fossero utilizzare a beneficio di tale chiesa, che sappiamo era bisognosa di forti interventi di recupero, perché ormai quasi cadente. Grandi furono le liti e le discussioni tra le due nobili famiglie: i Calcagnini e gli Spreti, l’una forte del giuspatronato sulla chiesa parrocchiale alfonsinese, l’altra padrona del fondo dove si trovava l’immagine. Visto poi che la curia di Faenza si era schierata con gli Spreti non si intravvedeva nessun mezzo di conciliazione, perciò la questione fu presentata a Roma, su richiesta esplicita di don Tosini. La Sacra Congregazione dei Vescovi e dei Regolari di Roma il 17 giugno 1717 sentenziò che la sacra immagine rimanesse dov'era, e che con le offerte raccolte le si erigesse una chiesa decorosa; accettò l'offerta dei Marchesi Spreti che si dichiararono disposti a provvedere personalmente a quanto fosse mancato per l'intera costruzione del tempio. Nel 1717 iniziarono così i lavori per la prima chiesa, terminata solo nel 1721, che doveva ospitare la sacra immagine, la cui venerazione si estendeva senza sosta tra la popolazione locale. Solo dal 1830 si registrò un affievolimento del culto, a cui contribuì indubbiamente l’abbandono da parte dei cappellani della residenza presso il santuario, devastata dall’umidità, ma soprattutto il decadimento della famiglia Spreti. Questo non comportò tuttavia il completo abbandono del culto, rinvigorito ad ogni occasione di pericolo. Il santuario fu però preda di svariati furti, in aggiunta allo spoglio già subito trent’anni prima dalle truppe napoleoniche. Si salvarono per nostra fortuna numerosi ex-voto, ancora conservati. Dalla fine dell’Ottocento in avanti il mutato clima culturale segnato dalla secolarizzazione e l’abbandono del “Passo” con la costruzione di un ponte infierirono altri colpi alla già decaduta condizione del santuario. Nel 1910 questo venne ceduto dagli Spreti alla diocesi di Faenza. In piena prima guerra mondiale gli alfonsinesi decisero di costruire un nuovo tempio, approfittando di un indennizzo dovuto alla demolizione dell’originario per l’ampliamento dell’argine del fiume. La nuova chiesa venne edificata nel 1929, andata distrutta dai bombardamenti del ’44. Ricostruita nel 1952, al suo interno conserva ancora l’immagine originaria, danneggiata ma nel complesso scampata ai bombardamenti grazie al parroco dell’epoca che la nascose in un rifugio sotterraneo al di sotto della canonica, andata completamente distrutta.

  

Sulla Madonna del Bosco di Alfonsine: Maria Elisabetta Ancarani, Per Grazia Ricevuta, Ed. Il Girasole maggio 2001; Antonio Savioli, Catalogo degli ex-voto di Madonna del Bosco, in Studi Romagnoli, XIX (1968) pp.253-257; Il Sacro, Le Opere e i giorni: per una storia della devozione popolare nei dipinti votivi della Madonna del Bosco, Alfonsine 1983

[1] Agostino Romano Fiori, Origine e progresso della devozione e concorso alla Immagine della B.V. del Bosco alle Alfonsine, cosiddetto “Manoscritto Fiori”, 1715, cit. in M.E.Ancarani, Per Grazia Ricevuta…, p.17

[2] G.F.Rambelli, Notizie Historiche della Beata Vergine del Bosco che si venera tre miglia lontano da Alfonsine, Imola 1834, cit. in Antonio Savioli, L’immagine della madonna del bosco e la sua tradizione iconografica, in il sacro, le opere e i giorni…, p.11

[3] G.F.Rambelli, Notizie Historiche…, cit., p.7, cit. in M.E.Ancarani, Per Grazia Ricevuta…, p.21

 

 

Ilaria Danesi