Babini Enzo, La via delle maschere

Enzo Babini, La via delle maschere

Ogni cosa bella sia nell'arte che nella musica o in un volto,

ha in sé gli elementi della tristezza e della gioia. (E.B.)

Dalle lontananze del tempo uno sguardo ci fissa, perturbante. La maschera di Medusa, fra le più antiche esprime il confine tra orrore e bellezza, tra l’orrore che seduce e pietrifica e la bellezza che annienta, che raggela e uccide. Il potere di Medusa è duplice: esso riposa nello sguardo, ma anche nell’oggetto creati dall’artista. In questo caso, l’artista che crea, che imita la realtà, ne ferma un segmento nella propria raffigurazione: lo slancio vitale viene privato di un tratto della propria essenza, che, per sempre, ritroveremo così nel manufatto che lo ha strappato alla vita stessa.

Con Enzo Babini, in questa sua nuova avventura conoscitiva, ci ritroviamo a riflettere non tanto e non solo sull’arte, ma sullo sguardo: non solo su una perizia tecnica di riconosciuta eccellenza, ma su un uomo capace di esprimere, insieme con l’arte, anche l’interrogazione sulla propria arte. Già questa sola evenienza, affidata ai soggetti prescelti come al materiale che li compone (Babini è amico delle terre che giacciono nel profondo degli oceani), trova, nella via delle maschere qui rappresentata, un esempio così limpido da essere quasi simbolico: non solo, ripeto, perché simboliche sono le maschere, ma perché simbolico è il modo di concepirle, di illustrarne la nascita, di allinearle e moltiplicarle, scomporle e riaggregarle (simbolico, ricordiamocelo sempre, è ciò che unisce: il contrario esatto del diabolico, che, invece, è ciò che divide, separa, confligge).

I tratti di penna, le mani che lavorano la terra, la terra che al calore del fuoco prende forma nuova, l’incisione che libera la forma dalla prigione della materia, ci restituiscono una moltitudine di maschere, legate a diverse culture e tradizioni, assunte e tradotte da Babini nel proprio registro. Sguardi fissi, bocche aperte senza voce, rimandano all’arcano, riconducono – come gli studi di antropologia hanno ampiamente mostrato – alla certezza che la libertà non stia – ne sa qualcosa Pirandello – nel rifiuto di una maschera, di un vettore che intreccia il nostro agli altrui destini, ma nella scelta della maschera più conforme al nostro cammino.

Ecco allora che “maschere”, persona, etimologicamente coincidono. Le fattezze di un volto che ci osserva senza vita, ma che attende di rivivere attraverso la nostra esistenza, rendono questo percorso di Babini uno dei più significativi della sua arte. Come accadde per Dante, egli ama cimentarsi con l’inesprimibile, sfidare l’innominabile, restituire all’eidon la forza originaria dell’eikon.

Questa è l’arte, sia detto in effigie, che ci apprestiamo a perlustrare. Con un’avvertenza. Dobbiamo essere consapevoli che, alla nostra curiositas, corrisponde nelle maschere di Babini un pretesa titanica e primordiale: quella di interpellare e svelare i segreti più riposti delle nostre vite e delle nostre coscienze.

 

Marco Veglia – Dipartimento di Italianistica, Università degli Studi di Bologna  (da ENZO BABINI, La via delle maschere, Edit, Faenza 2015)