“La mi Bagnéra l’à na pórta sola, chi pasa par cla pórta u s’inamóra”
“La mia Bagnara ha una porta sola, chi oltrepassa quella porta s’innamora”
Come recita questo antico detto popolare, il borgo fortificato di Bagnara di Romagna, circondato da un profondo fossato, era dotato di un unico punto di accesso, la Porta a Ovest. La prima Porta, col suo rivellino e ponte levatoio, era probabilmente coeva alla ricostruzione della Rocca durante l’ultimo quarto del XV secolo, dotando il Castello di tutti quegli elementi necessari a un insediamento fortificato di pianura.
Si trova citata nei documenti d’archivio per la prima volta nel 1603 in una delibera comunale che parla della necessità di riparare il ponte della Porta. La sua custodia era affidata al portonaro, che si doveva occupare di chiudere l’accesso al paese di notte per tenere Bagnara al sicuro da eventuali attacchi armati, così come aveva comandato il Vescovo di Imola (a quelle date Signore di Bagnara). Nel 1617 il ponte levatoio, ridotto in condizioni pessime, fu sostituito da uno in pietra. Da un documento del 1677 si evince che la Porta era dotata di due battenti, uno esterno e uno sul lato della piazza, la cui manutenzione era sempre affidata al portonaro.
Nel Settecento e nell’Ottocento è attestata la presenza, al piano superiore della Porta, di due camere adibite a prigione, probabilmente utilizzate per chi tentava di entrare in paese armato o con dubbie intenzioni. Sotto esisteva un pisadùr (orinatoio) utilizzato sia dai residenti, le cui case erano ancora prive di servizi igienici, sia dai passanti e frequentatori della vicina Osteria della Barca. Il sudiciume e il perenne cattivo odore smosse le autorità: a metà dell’Ottocento l’orinatoio fu spostato all’esterno della Porta e si creò una latrina in una casa semidiroccata poco distante.
All’inizio del XIX secolo si presentò il problema di trovare una nuova collocazione per la torre dell’orologio, dal 1608 sul tetto del Palazzo Comunale, che rischiava di crollare sulla struttura sottostante. Nel 1816 si pensò di erigerla in cima alla solida struttura della porta che, oltretutto, avrebbe anche garantito maggiore visibilità dell’orologio: da quella posizione il quadrante poteva essere letto dalla Strada del Ponte (direzione Imola-Mordano) e quello interno da ogni angolo della piazza. L’orologio fu sostituito nel 1860, ma anche il nuovo meccanismo, molto più moderno dei precedenti, continuava a richiedere continui interventi di manutenzione e nel 1935 si decise di ricostruire completamente la torre. Il nuovo orologio ebbe però vita breve, questa volta non a causa di problemi strutturali o di funzionamento, ma per via degli eventi bellici. Gli ultimi tedeschi rimasti a Bagnara, poco prima dell’arrivo delle truppe polacche alleate, avevano ricevuto ordine di far saltare tutti i punti alti di vedetta, quindi il campanile della Chiesa, la Porta Civica e la Rocca; quest’ultima, nella quale erano rifugiate circa 450 persone, si salvò grazie all’intervento dell’arciprete Alberto Mongardi, ma non il simbolo del borgo medievale che da tanti invasori e pericoli aveva difeso i bagnaresi. L’attaccamento a questo monumento era così forte che i cittadini fecero di tutto per vedere di nuovo la Porta ricostruita. Le Belle Arti avevano espresso parere contrario alla riedificazione di un edificio antico oramai perduto e la cassa di Risparmio aveva già presentato un progetto per realizzare sulle macerie della porta la propria sede. Fondamentale fu l’intervento del Dottor Biagio Galliani, ispettore generale del Ministero dei Pubblici Lavori nel dopoguerra e dell’onorevole Ludovico Camangi, sottosegretario al Ministero dei Lavori Pubblici. Dopo aver indetto un referendum popolare, la situazione si mosse e finalmente, nel 1949, la porta fu ricostruita a partire da ciò che restava delle fondamenta originali, seguendo i disegni seicenteschi conservati nell’Archivio diocesano di Imola, senza quindi ripristinare la torre dell’orologio.
Lisa Emiliani
Fonti
Tonino Pini e Valdo Pirazzini, La tormentata storia di un orologio da torre, “Giornale di massa”, settembre 2015;
Tonino Pini e Valdo Pirazzini, Cessi, boccalini, vespasiani, latrine e gabinetti, “Giornale di massa”, gennaio 2018;
Ernesto Casadio, Bagnara di Romagna. Toponomastica nella storia, Pavaglione, Lugo, Walberti, 1988;
Bagnara ferita: dai danni della seconda guerra mondiale al fervore della ricostruzione,
Imola, Editrice Il Nuovo Diario Messaggero, 2016.