Casadio don Stefano

Don Stefano Casadio

Cotignola 26 febbraio 1913 - Roma 27 maggio 2001

 

È stato un presbitero antifascista e missionario. Secondo di tre figli, Stefano Casadio nacque a Cotignola, in casa, il 26 febbraio 1913, da Giovanni Casadio, dipendente comunale e da Severina Bassi, proveniente da una famiglia contadina.

L'educazione fu severa e, tra le varie figure di riferimento, spiccò quella di don Zini, il parroco del paese, che con il suo operato e il suo carattere influenzò molto il giovane Stefano, considerato da sempre un ragazzino fin troppo vivace, a tratti discolo, tanto che nessuno avrebbe mai pensato potesse avvicinarsi alla Chiesa. Fu proprio don Zini a far sì che ricevesse un'adeguata istruzione presso il Seminario di Faenza; nel frattempo Stefano cercava di imparare un mestiere facendo il garzone presso un falegname. Durante gli anni da seminarista il libro "La vita di don Bosco" fu particolarmente importante per la sua formazione e particolarmente affine al suo animo, che fu - anche successivamente - votato ai giovani e alle iniziative in loro favore. Gli anni del seminario vanno dal 1926 fino al 1938, anno in cui fu ordinato sacerdote. Celebrò la sua prima funzione a venticinque anni, il 2 maggio 1938 a Cotignola, in presenza di tutta la famiglia; rimase per un anno e mezzo presso la parrocchia come supporto all’anziano parroco. Il giovane prete, fresco di nomina, si ritrovò così a svolgere le funzioni del collega, diventando così di fatto il parroco della cittadina, anche se molto giovane.

Durante il secondo conflitto mondiale don Stefano Casadio si dimostrò uomo coraggioso e generoso con tutti. Ogni giorno rischiava la vita nel ricoverare i feriti e nel dotare l’ospedale di mezzi necessari. Si occupò della sepoltura dei morti e, grazie all’aiuto di un gruppo di volonterosi, sfidò l’isolamento imposto dai tedeschi e dai loro avversari, recandosi nei comuni vicini a reperire il necessario per sopravvivere. Il suo dinamismo, la sua spregiudicatezza, il suo coraggio lo portarono ad assumere atteggiamenti pericolosi per la sua incolumità, consapevole che era il solo modo per soccorrere la popolazione assediata.

Nel 1945 Luigi “Leno” Casadio e don Stefano (due uomini con lo stesso cognome ma che non erano parenti, un partigiano comunista vice-responsabile militare della zona e un parroco che già si era distinto nei lunghi mesi di guerra per il costante sostegno alla popolazione e ai rifugiati) diedero vita all'operazione "Bandiera bianca" che fermò i bombardamenti sulla cittadina. Il 10 aprile del 1945, Leno e Don Stefano attraversarono il fiume Senio e si presentarono, con un drappo bianco, al Comando alleato attestato sulla riva destra del Senio per invitarlo a risparmiare Cotignola da ulteriori inutili bombardamenti. Le truppe tedesche infatti erano andate via e i pochi tedeschi rimasti erano stati fatti prigionieri dai partigiani. Gli alleati, increduli, tennero in ostaggio Don Stefano e fecero riattraversare il fiume minato a Leno che, sotto la minaccia delle armi delle pattuglie Neozelandesi, consegnò il paese liberato. Per questo episodio don Luigi Casadio ha ricevuto la Medaglia al valor civile.

Fu parroco di Reda dal 1956 fino alla sua partenza per il Brasile. Gli è stato intitolato l'Istituto Comprensivo di Cotignola nel 2006.

 

Conversazione - registrata da Mario Baldini - tra don Luigi e Leno negli ultimi anni della loro vita.
Chiedo a Don Stefano: come ha fatto ad aderire al Comitato di Liberazione Nazionale? “Mi ricordo che una volta mi chiamarono a casa di Leno. Mi sono trovato li. Non mi hanno chiesto di entrare nel CLN. Mi sono trovato lì. Dopo un po’ di tempo Taroni mi riferì che mi chiamarono perché ero una persona fidata. Una delle volte che ci ritrovammo a casa di Leno, ci salvammo perché i tedeschi si confusero. Scambiarono la casa rosa con la casa bianca dove venne preso tuo zio, Zoli Gino.” “Infatti la mia casa – precisa Leno - aveva due colori, era rosa e bianca.” “Per questo episodio - continua Leno – mi accusarono, dopo la guerra. Ma noi non potevamo fare niente per salvare tuo zio.” “Si guarda sempre e solo agli elementi negativi. - aggiunge Don Stefano - Il movimento partigiano avrà certamente fatto degli errori. Chi è che non fa degli errori? Ma di per sé il movimento partigiano aveva un grande valore. De Gasperi si appoggiò al movimento dei partigiani.” Leno, anche per te ci sono stati degli errori nella lotta antifascista? “Sono stati commessi degli errori che sono stati immensi. Ad esempio, la decisione di tagliare i capelli alle donne fu un grande errore. Ti voglio raccontare un episodio. Il fatto della Nerina, la Baroncini. Io ero amico di quella famiglia. Cosa fecero? La presero e la portarono nel comando partigiano, che si trovava nella casa di Bruno Ferlini. Mi mandarono a chiamare. C’era la Nerina con suo padre. Mi intimarono di stare zitto giacché non volevo che lei fosse tosata. Mi opposi, ma la tosarono lo stesso. La famiglia non aveva fatto niente, aveva solo delle simpatie fasciste. La tosarono soltanto perché aveva delle simpatie fasciste. A seguito di quell’episodio - ho ritrovato poco tempo fa la lettera - diedi le dimissioni da responsabile dell’Anpi, perché situazioni del genere non si potevano tollerare.” E adesso dopo tanti anni, qual è il vostro bilancio personale, cosa ci avete guadagnato? “Vedi, - dice Don Stefano – ci ho guadagnato la mia coscienza. Ho cercato di fare del mio meglio. Questa è stata la mia vita. Anche in Brasile, di fronte alla gravità del male che c’è, che cosa vuoi che sia stato quello che ho fatto per i bambini? E’ stato una goccia.” Tante gocce riempiono il vaso. “Il vaso delle cose positive – riprende Don Stefano - è un vaso che non si riempie mai. Ed ha bisogno che gli cada sempre una nuova goccia sennò l’acqua marcisce. Io lavoro, faccio quello in cui credo con entusiasmo e poi i risultati verranno. Seminiamo. Qualcosa nascerà.” “Anch’io sono d’accordo con Don Stefano – aggiunge Leno – nella mia vita ho agito non per cercare un merito personale, ma per creare condizioni di vita migliori nella società. E’ stato quello lo scopo della mia vita. Ma abbiamo sempre fatto poco rispetto a quello che c’era bisogno di fare.”

 

Bibliografia
Michele Bassi, Cotignola, un approdo di salvezza per gli ebrei e per i perseguitati politici durante la guerra (1943-1945), Litografica, Faenza, 1985