Antonio Costa nacque a Massa Lombarda il 9 marzo 1898, quarto di dieci figli. Il padre Angelo (soprannominato Baiuchèn) faceva il "corriere" fra Massa Lombarda e Lugo con un carretto trainato da un asino. Spesso lo accompagnava la moglie Annunziata, essi facevano il percorso due volte la settimana per rifornire i tabaccai dei generi di monopolio. Egli fece enormi sacrifici, riuscendo così a mantenere decorosamente la propria numerosa famiglia. Ben presto il piccolo Antonio rivelò notevoli capacità nello studio. A poco più di dodici anni decise quindi di entrare nel seminario di Imola; successivamente, parlando delle proprie scelte, Antonio precisò che desiderava ardentemente "trascorrere la vita tra le mura di un romitaggio, lungi da ogni consorzio umano, per attendere con più intensità alla preghiera, alla penitenza". Era quindi la vita monacale la sua massima aspirazione e, nonostante le opposizioni di parenti ed amici, il 18 luglio 1915 partì per l'eremo di Camaldoli.
I monaci lo accolsero fraternamente, ed egli si trovò a suo agio tanto da rimanervi quattro anni, ma le privazioni e le penitenze della regola camaldolese gli parevano ancora troppo poco, poiché dato il suo fervido amore e zelo per il Signore Padre Antonio voleva dare di più. Decise così di farsi certosino, e fu accolto nella certosa di Vedana, la durissima vita dei certosini essenzialmente contemplativa ed interamente dedicata alla preghiera era adeguata alla sua tempra. Padre Costa disse: “I certosini, ben con ragione, si possono appellare sepolti vivi essendo completamente segregati dal mondo e dai mondani in conversazione col cielo”. La permanenza a Vedana duro però soltanto alcuni mesi, poiché malgrado la sua gioia il suo fisico non resse al rigore della severa regola certosina, ed il priore, solo dopo aver consultato un medico, decise di esentarlo dalla dura disciplina monastica che lo avrebbe ucciso, e lo convinse a ritornare a casa. Grande fu il dolore nell'abbandonare i confratelli e la vita eremitica sognata fin da bambino, ciò emergeva dalle sue parole: "...Lasciare tutto per essere scaraventato in mezzo alla società, in grembo ai pericoli che presenta la vita! Provai ogni via, studiai ogni mezzo per esser nuovamente accettato in Certosa, ma tutto invano... Dovermi secolarizzare!... Questo pensiero mi incuteva un non so che di spavento. La vita secolare mi si affacciava alla mente, tetra, disseminata di spine e tranelli, ed io che fin da fanciullo ero vissuto all'ombra del santuario e del chiostro, quella vita mi terrorizzava".
Dopo una breve sosta a Bologna ospite del conte Armando Armandi, Antonio tornò a Massa Lombarda dopo cinque anni di lontananza. Qui trovò occupazione nella locale filiale del Credito Romagnolo e si impegnò, come animatore, nella comunità cattolica per tre anni. Riacquistata completamente la salute, la sua vocazione riemerse con forza. Decise definitivamente di prendere i voti. Trascorso il noviziato in Spagna nella Certosa di Montalegre, presso Barcellona, il 6 gennaio 1928 finalmente prese i voti, prendendo il nome di Gabriele. Nove mesi dopo, il 22 settembre 1928, nella Cattedrale di Barcellona, venne ordinato sacerdote. Successivamente trascorse un periodo in Francia, vivendo nella Grande Certosa. Tornato in Italia peregrinò per vari monasteri. Durante il periodo trascorso nella Certosa di Firenze (1929-1933) conobbe il giovane Giorgio La Pira, di cui divenne confessore. Nel 1938 entrò nella comunità della Certosa di Farneta, presso Lucca. Qui, grazie ai suoi studi e all'esperienza lavorativa avuta in banca, ebbe l'incarico di Procuratore, cioè di amministratore del convento. Nel 1941 poté fare l'ultima visita ai vecchi genitori, nel suo paese natale.
Dopo l'8 settembre 1943, in piena seconda guerra mondiale, l'Italia fu invasa dalle truppe germaniche. Subito la Certosa di Farneta aprì le porte a quanti, oppressi dalle difficoltà e dai dolori, chiedevano assistenza e conforto. Il convento ospitò tutti quelli che chiedevano aiuto: giovani dei dintorni, contadini, operai, profughi, perseguitati, ricercati. La certosa ospitò anche una ricetrasmittente clandestina. Le S.S. tedesche, che avevano sede vicino al convento, si insospettirono per alcune presenze ritenute "non permesse dalle leggi germaniche" e la notte tra l’1 e il 2 settembre 1944 (anche in seguito alla delazione di un infiltrato) fecero irruzione nel monastero. La prima disposizione che colpì Antonio Costa fu la proibizione di indossare il saio: dom Antonio dovette vestirsi in borghese. Fu anche interrogato più volte, ma da lui i tedeschi non ottennero nessuna informazione. Fu quindi condotto, con altri prigionieri a Nocchi, in un vecchio capannone e imprigionato. Il 6 settembre i tedeschi, in ritirata, entrarono nel capannone-prigione e fecero una cernita. Fra i condannati a morte c'era Padre Costa. Il 10 settembre Antonio, il confratello Dom Pio Egger e il professore medico Guglielmo Lippi Francescani, furono caricati su una camionetta che si inerpicò sulla strada per Ponte Forno; arrivati ai piedi di una rupe, furono fatti scendere e falciati da una raffica di mitra.
Dom Gabriele Costa è sepolto al cimitero della Certosa di Farneta. L'Amministrazione Civica di Massa Lombarda gli ha intitolato una strada ed ha fatto incidere il suo nome in una delle steli del monumento ai Caduti della Resistenza. La Comunità cattolica ha fatto porre una lapide commemorativa nella Chiesa Arcipretale massese della Conversione di San Paolo e ne auspica la beatificazione.
Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria con la seguente motivazione:
“Dopo aver reso alla lotta di liberazione servizi veramente eminenti costituendo, ed in se stesso impersonando, un importante centro di raccolta, vaglio e trasmissione informazioni e dando, con cristiana pietà, asilo nel Monastero di Farneta a molti perseguitati dalla furia tedesca, cadeva, per delazione, nelle mani delle SS. germaniche. Duramente interrogato e sottoposto a tortura manteneva nobile ed esemplare contegno, molti salvando col silenzio e dando, con la sua eroica morte, nobile esempio di fedeltà alla Religione ed alla Patria. (Certosa di Lucca, settembre 1943 - settembre 1944)”
Bibliografia:
Silvano Nistri, Gabriele Maria Costa, in Francesco Traniello e Giorgio Campanini (a cura di), Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. Vol. III «Le figure rappresentative», Casale Monferrato, Marietti, 1982, pp. 262-263
Leano Lancieri, Un'anima ardente di amore: dom Gabriele Costa, «Il Nostro S. Paolo», novembre 2004
Luigi Accattoli, La Strage di Farneta. Storia sconosciuta dei dodici Certosini fucilati dai tedeschi nel 1944, Rubbettino, 2013
Antonio Costa, Dal Monastero al Secolo (Ricordi della mia verde età), Bologna, Stab. Tipografico L.Parma, 1920