Il canto ferroso di Giovanni Tamburelli
Il mondo immaginario di Giovanni Tamburelli proviene da un grido interiore, l’usualità delle “cose” ne ha causato l’esistenza. I flessi suoni dei fogli laminosi, il gracidare cupo di seghe divoratrici di metallo, il battere ritmato del maglio, il crepitio dell’elettrodo fondente o il bruire del cannello ferruminatorio dovettero sembrargli canti, troppo flagranti per non dargli forma.
Mi piace credere che un giorno, stanco di piegare quei suoni a una concretezza prestabilita (per anni ha svolto l’attività di fabbro, continuando una tradizione di famiglia), di uomini troppo ciechi per vedere oltre, abbia sentito la necessità di liberarli in creature fantastiche. Penso che quella sua intima vocazione non sia disgiunta dall’orecchio del poeta. Ecco allora che quelle forme iniziarono a prendere vita in un viaggio senza meta, ma carico di percorso, dove solo una dedizione incessante, che non ammette distrazioni, può restituirgli realtà.
Reale è quando il proprio mondo può comunicare con quelli altrui, non importa se nella pienezza della comprensione, d’altronde chi può sostenere, senza tema di smentita, di non interpretare e di afferrare le “cose così come sono”? Nulla è estraneo all’uomo pensante, solo la mente ordina le conoscenze, e la mente non è al di fuori del mondo; dunque lasciare la presunzione e sperimentare un viaggio “altro” potrebbe ricondurre a una “realtà” più piena, quella del rapporto con l’incomprensibile, che, vivendo in noi, permette di saggiare il volume delle proprie certezze e di non rinunciare mai a porle al vaglio del dubbio, non per annichilire o disperdersi nel magmatico flusso degli eventi, ma per affrontare costantemente la complessità senza costringerla all’arroganza di un’unica verità. Allora quelle creature, a prima vista inusitate, eccole pronte a riecheggiare canti ancestrali, di mondi possibili, mai del tutto dissoltisi nel percorso dell’evoluzione umana. Chi respinge la forza dell’immaginazione rifiuta la conoscenza; chi rinuncia alla conoscenza rinuncia a esserci.
Massimo Balestra