Lugo, Chiesa della Pianta

Lugo, Chiesa della Pianta

 o Oratorio di S. Stefano (1661 – 1945) 

Voltana, Via Piantavecchia incrocio con Stradoncello Pianta

Con il progredire delle opere di bonifica della Bassa e quindi con l’inizio di uno sfruttamento razionale e programmato del territorio, in conseguenza del formarsi dei vari nuclei abitativi, sono andare via via sorgendo numerose pievi nell’intento di soddisfare le esigenze di carattere religioso dei primi abitanti. Anche la “Chiesa della Pianta” non sfugge a questa regola, anzi, si direbbe che la sua presenza non solo coincide con una radicale trasformazione del territorio attualmente occupato da Voltana, ma per gli abitanti è l’inizio di una vita diversa, dovuta al fatto di sentirsi forse per la prima volta comunità distinta dalle altre, legata stabilmente al lavoro della terra, con la possibilità di muoversi più agevolmente e con maggior sicurezza.

Sul finire del XV secolo, l’ampio territorio che va dall’attuale S.S. Adriatica fino allo stradone di S. Bernardino era costruito da una alternanza di zone palustri e prative, soggette a modificazioni continue in conseguenza di periodi particolarmente piovosi o di alluvioni dovute allo straripamento del Santerno che allora correva entro argini poco elevati. Gli insediamenti, in particolare nella zona valliva, cioè quella a settentrione, dovevano essere poco numerosi e l’unico punto di riferimento sociale e religioso per gli abitanti di un’area così vasta era la pieve di S. Bernardino, esistente già dal 1475 (1).

In una situazione territoriale di questo genere, alla fine del XVI secolo, ha inizio l’intervento di bonifica promosso dai Bentivoglio, nobile famiglia di origine bolognese che burrascosi avvenimenti politici e militari avevano portato alla corte degli Estensi nel 1512. Fu Enzo Bentivoglio l’iniziatore della bonifica del nostro territorio, i cui cardini erano costituiti da un ampio palazzo padronale costruito in prossimità dell’argine destro del Santerno (il corso del fiume in quel tempo era l’attuale via Bastia) e una comoda strada (le attuali Via Piantavecchia e Stradone Bentivoglio) che, partendo in prossimità del palazzo (il palazzo dei Conti Manzoni alla Frascata), attraversava senza interruzioni un ampio territorio reso finalmente coltivabile e che si estendeva dall’attuale Via Bastia fino al canale Tratturo, dalla S.S. Adriatica fino al territorio della Lombardina.

A questo punto è logico pensare ad una progressiva concentrazione degli insediamenti e alla necessità per quelle popolazioni di avere un luogo di culto più facilmente accessibile, in particolare dopo il trasferimento nel 1660 della Chiesa di S. Bernardino dalla Via Lombardina alla sede attuale (2). Il marchese Ippolito Bentivoglio fece perciò costruire un Oratorio con una comoda abitazione per il cappellano e gli assegnò una dote di circa 100 tornature di terra, in parte coltivate e in parte prative (3). La nuova chiesa, intitolata a S. Stefano protomartire, era posta a lato della strada Bentivoglio (attuale Via Piantavecchia), orientata in modo da avere l’ingresso principale di fronte all’attuale Stradoncello Pianta, e la sua consacrazione avvenne il giorno 8 luglio 1661 (4).

Pur essendo molto semplice nelle sue linee architettoniche e non particolarmente ricca di fregi o dipinti all’interno, era comunque di discrete dimensioni (circa mt.19x7) come è possibile rilevare dalla mappa catastale.

Purtroppo, nonostante si siano fatte ricerche in numerosi archivi, ancora non conosciamo il nome dell’architetto che ne diresse la costruzione, tantomeno siamo riusciti a trovare un disegno planimetrico che ci informi sul numero e la disposizione degli altari e neppure ci sono pervenute notizie sulla eventuale presenza di congregazioni ad essi legate.

Sappiamo soltanto della presenza nel muro dell’abside, direttamente dietro l’altare, di una nicchia con all’interno la statua lignea di S. Stefano protetta da un cristallo e da una tenda. Inoltre, sulla destra di chi entrava, doveva esserci un altare con l’immagine della Madonna della Misericordia (5).

Possiamo immaginare con quale entusiasmo fosse accolto dalla popolazione il sorgere della nuova chiesa: tuttavia, per evitare motivi di conflittualità con S. Bernardino, fu ritenuto opportuno redigere un concordato nel quale veniva ufficialmente riconosciuta la sudditanza della nuova chiesa a quella già esistente, che si traduceva in pratica sia nella impossibilità di amministrare certi sacramenti ( mancava ad esempio il fonte battesimale), sia in tutta una serie di divieti e di obblighi elencati con meticolosità:

“Al nome di Dio addì 8 luglio 1661
Capitoli che intende D. Francesco Corelli Rettore della parrocchiale di S. Bernardino in Selva di Lugo si debbano inviolabilmente et perpetuamente osservare dal cappellano della chiesa nova, od Oratorio dell’Ill.mo ed eccell.mo sig. Marchese Ippolito Bentivoglio eretta novamente nella Frascata, ora detta la Pianta di detta Parrocchia.
“Primo: che il capellano di detta chiesa non possi esercitare atto né officio alcuno spettante al Parroco di detto S. Bernardino come predicare, confessare, comunicare, né esercitare qualunque altro sacramento, né dispensare candele, né Salmi i giorni determinati dalla stessa chiesa, né far Processioni di sorte alcuna, né tor donne in chiesa dopo il parto con le cerimonie nel rituale romano.
Secondo: non possa detto capellano cercare, né far cercare sotto qualsivoglia prebenda in detta parrocchia grano, uva, ova, salami, filo, lino, né qualunque altra cosa, nemmeno dare L’Acqua Santa la settimana santa o in altro tempo, se non lo concederà il parroco.
Terzo: che detto cappellano non possa pretendere mai in alcun tempo primizie né emolumento alcuno dai parrocchiani per causa d’officiare a detta chiesa ad Oratorio.
Quarto: non possa detto Capellano, o altri di suo ordine, cercare né far cercare l’elemosina in detta chiesa se non si porrà una cassetta con due chiavi, una delle quali terrà il Rettore pro tempore di S. Bernardino, e l’altra il massaro di detta chiesa dal medesimo rettore di S. Bernardino nella qual cassetta si dovrà conservare l’elemosina, che si raccoglierà in detto oratorio, la quale si dovrà ugualmente dividere la metà in benificio di detto Oratorio, e l’altra metà in benificio compagnie erette in detta parocchia e che l’uno senza l’altro non possa aprire detta cassetta.
Quinto: che il capellano pro tempore di detto Oratorio sia obbligato andare il giorno di Pasqua di Ressurezione, et il giorno di S. Bernardino, ed il sabato Santo a celebrare, et aiutare il parroco in detta chiesa di S. Bernardino come anco per le processioni del Corpus Domini.
I Capitoli saranno sottoscritti dai fondatori di detto oratorio dal parroco di S. Bernardino e dal Capellano di detto Oratorio e registrati nella cancelleria Episcopale di Imola at Perpetua memoria ed osservanza di quanto in questo si contiene. Ippolito Bentivoglio fondatore promesso come sopra. Don Francesco Corelli Rettore di S. Bernardino affermo quanto sopra. Don Salamone Guerrini Capellano di detto Oratorio prometto ed affermo ut sopra. Cristoforo Dulcetti agente dell’Ecc.mo sig. Marchese Bentivoglio Ippolito feci ut sopra”.

L’originale fu registrato nella cancelleria Episcopale d’Imola ordine del Em.mo sig. Cardinal Donghi Vescovo.

Il primo cappellano fu Don Giovanni Salomone che, sottoscrivendo il concordato, assumeva anche a nome dei suoi successori i vari obblighi, tra i quali anche quello di celebrare tre messe settimanali, una, alla domenica, e altre due “ad libitum” come dichiara testualmente Don Sante Pasotti (6).

Fino ai primi decenni del 1900 l’Oratorio della Pianta continuò ad essere luogo di culto ed ebbe la costante presenza di un sacerdote incaricato della cura spirituale di coloro che vi confluivano.

Il patronato e quindi il diritto di nominare il cappellano fu tuttavia oggetto di contesa tra i Bentivoglio e Don Giovanni Gambetti parroco di S. Bernardino, tanto che dal 1864, e per circa un decennio, la questione venne dibattuta nelle aule dei Tribunali (7).

Nel 1873 i giudici si pronunciarono a favore di Don Gambetti, ma nel 1884 il patronato e il possesso della chiesa passarono definitivamente a Don Camerini di Belricetto (8).

Nel 1890 la famiglia Camerini provvide ad un radicale restauro dell’edificio che evidentemente cominciava a mostrare i segni dei suoi 230 anni.

Alcune annotazioni datate 1921 riferiscono di un totale rifacimento della chiesa (9), ma ciò sembra poco credibile se si pensa all’enorme costo di una simile impresa e per di più senza la possibilità di un ritorno in termini economici. Nel 1921 “la Chiesa della Pianta” cessò di essere tale e, dopo opportune modificazioni della struttura interna, venne destinata dal Comune di Lugo ad abitazione per numerose famiglie di Voltana. Nell’aprile del 1945, pochi giorni prima della ritirata dei tedeschi, l’edificio fu minato e fatto saltare dagli stessi tedeschi e di tutto il complesso non rimase che un uniforme mucchio di macerie.

Oggi dell’antica pieve non rimangono tracce visibili e anche gli archivi sono piuttosto avari di notizie. Della sua esistenza, che ha attraversato un arco di tempo di tre secoli, rimane solo il ricordo nella memoria dei più anziani e veramente ci sembra troppo poco per un monumento non ricco, ma significativo e importante nel processo di aggregazione sociale e religiosa della nostra gente. Perché questo ricordo non si perda per sempre vorremmo proporre la collocazione, nello stesso luogo dove sorgeva l’antico Oratorio, di un segno concreto quale un’edicola o un cippo commemorativo e, come segno di una comunità ideale, il recupero e la sistemazione della statua di S. Stefano all’interno della nuova chiesa di Voltana.

Sergio Melandri e Giuliano Montanari

 

Fonti
(1) G. Bonoli: Storia di Lugo – Cartularium Padre Gaddoni;
(2) G. Bonoli: Storia di Lugo – Archivio Parrocchiale S. Bernardino;
(3) Archivio Vescovile Imola: Visita Marelli vol.3 pag.351;
(4) Archivio Vescovile Imola;
(5) Archivio Vescovile Imola;
(6) Archivio Vescovile Ferrara;
(7) Archivio Vescovile Imola: Controversia Bentivoglio - Don Gambetti;
(8) Archivio Vescovile Imola;
(9) Cartularium Padre Gaddoni - Archivio Osservanza Imola.