Milano, Il Binario 21

Milano, Il Binario 21

Il luogo da cui ebbe inizio l'orrore della Shoah a Milano

Se alla Stazione Centrale di Milano cercate il Binario 21 non lo trovate. Bisogna uscire, costeggiare Piazzale Luigi di Savoia, oltrepassare il sottopasso, percorrere altri 500 metri in Via Ferrante Aporti per arrivare davanti ad un anonimo ingresso che nasconde un luogo che fa tristemente parte del nostro passato, ma che in pochi conoscono: il Binario 21. Non è né una replica del binario 21 attualmente attivo in stazione né di un binario “qualsiasi”. È il luogo da cui ebbe inizio l’orrore della Shoah a Milano. Da qui tra il dicembre 1943 e il gennaio 1945 partirono circa venti convogli stipati di ebrei e di oppositori politici diretti ai campi di sterminio nazisti. In ogni vagone viaggiavano dalle 50 alle 80 persone, non c’erano finestre, se non qualche piccola fessura, non veniva dato né da mangiare né da bere e per i bisogni fisiologici c’era solo un secchio. Il viaggio durava 7 giorni e non tutti arrivavano vivi a destinazione. L’area di Via Ferrante Aporti, situata a livello stradale sotto i binari che si vedono passando a Milano in Via Pergolesi, era adibita al carico e allo scarico della posta. Il carro-vagone posizionato su un carrello traslatore veniva messo su un ascensore montavagoni e sollevato fino a raggiungere il binario all’aria aperta situato tra la banchina 18 e 19. Lì i carri venivano agganciati ad un locomotore. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che quel marchingegno industriale ideato per le Poste prima o poi sarebbe potuto servire per trasportare uomini, donne e bambini senza che nessuno vedesse.

Se lo ricorda bene Liliana Segre che spesso ha raccontato la sua atroce partenza dalla stazione di Milano. Catturata dopo aver tentato di espatriare in Svizzera con il padre per fuggire alla persecuzione delle leggi razziali fasciste che le avevano impedito persino di andare a scuola, passò gli ultimi giorni di gennaio al carcere di San Vittore. La mattina del 30 gennaio del 1944 venne caricata violentemente su un camion. Attraversò la città deserta, rivide per l’ultima volta la sua casa in via Magenta al civico 55, fino alla stazione. Lì i camion infilarono i sotterranei e si fermarono proprio davanti ai binari nel ventre della Stazione. «Il passaggio – racconta – fu velocissimo. Non persero tempo: in fretta, a calci, pugni e bastonate, ci caricarono sui vagoni bestiame. Non appena uno era pieno, veniva sprangato e portato con l’elevatore alla banchina di partenza. Tutto si svolse nel buio del sotterraneo, illuminato da fari potenti nei punti strategici. Dai vagoni piombati saliva un coro di urla, di richiami, di implorazioni: nessuno ascoltava. Il treno partì». E ancora: «Nel vagone era buio, c’era un po’ di paglia per terra e un secchio per i nostri bisogni. Andava molto piano, fermandosi a volte per ore. Dalle grate vedevamo la campagna emiliana nelle brume dell’inverno e stazioni deserte dai nomi familiari. Ogni tanto vedevo qualcuno alzarsi a fatica per cercare di capire dove fossimo, guardando dalle grate, schermate con stracci per riparare dal gelo quel carico umano. Si vedeva un paesaggio immerso nella neve, camini fumanti, campanili. Prima che cominciasse la Foresta Nera, il treno si fermò e qualcuno poté scendere tra le SS armate fino ai denti per prendere un po’ d’acqua e vuotare il secchio immondo. Anch’io e papà scendemmo e vedemmo per la prima volta, scritto con il gesso sul vagone: “Auschwitz bei Katowice”»

Oggi il Binario 21 oltre ad essere un luogo della Memoria è diventato il Memoriale della Shoah di Milano e ad esso collegato c’è un progetto più ampio che ha due scopi, quello di rendere omaggio alle vittime dello sterminio e quello di non dimenticare. Ad accogliere i visitatori c’è una grande scritta che non passa di certo inosservata. INDIFFERENZA. Questa parola è stata scelta con cura e sta a rappresentare il sentimento che, più di ogni altro, ha fatto patire gli ebrei: l’indifferenza della gente nei confronti di ciò che stava loro accadendo. Al centro del memoriale si trovano quattro carri merci dell’epoca, uguali a quelli che si avviarono alla volta dei campi di sterminio. Lungo il Muro dei Nomi si trova una grande installazione in cui sono riportati i nomi delle 774 persone che vennero deportate da Milano: in bianco le vittime e in giallo i pochi sopravvissuti (22). I nomi non sono statici ma vengono messi in evidenza a rotazione, per restituire dignità a queste persone. All’interno del memoriale c’è anche un luogo di riflessione, ricavato in una fossa della stazione. Il suo interno è volutamente opprimente e buio (l’unico spiraglio di luce è una striscia che indica l’est) ed ha lo scopo di stimolare la riflessione ed il raccoglimento. Perché il memoriale non vuole essere soltanto un monumento alla memoria di chi non c’è più, ma anche un luogo per riflettere.