S.Agata, Monastero delle Angioline

S.Agata, Monastero delle Angioline

 (secolo XIV – incerta) - Via Angiolina, di fronte al prolungamento virtuale verso nord

di Via Salvo D’Acquisto e Via 12 Aprile

Credo che la denominazione “Monastero delle Angioline” sia la più appropriata al momento, stante l’ancora basso livello di conoscenze sul tema. Qualcuno ha ipotizzato che lì sorgesse il monastero di S. Maria in Cosmedin, qualcun altro, come Norino Cani, si è spinto ancora più in là sostenendo che questo sia addirittura il sito della vecchia pieve di Sant’Agata.

“Monastero delle Angioline” è il nome proposto da Armanda Capucci in un suo articolo del 1994, pubblicato dal “Giornale di massa”. Ivi, Capucci riferisce un avvenimento della seconda guerra mondiale. Nell’autunno del 1943, una compagnia di tedeschi proveniente dalla Via Bastia, si immise in Via Angiolina alla ricerca di un “kloster”, ossia di un “monastero-rifugio”. I germanici cominciarono a scavare e ne trovarono i muri portanti ad un metro di profondità.

Sempre Capucci riferisce poi un suo ricordo personale databile al 1966, ai tempi della alluvione di Firenze: le abbondanti piogge che si riversarono anche in Romagna misero in luce la pianta dell’edificio di forma rettangolare. Secondo la sua interpretazione, sembravano celle di monaci. Ammesso che si fosse trattato di un convento, esso era stato abbandonato da secoli pur essendo il ricordo giunto fino a noi.

Nel corso di tante arature, Capucci aveva raccolto una cassetta di frammenti ceramici che fu fatta analizzare ad un’esperta, la professoressa Laura Dalmonte di Faenza, la quale, nel 1999, trovò forme di “graffito” del Quattrocento, molti frammenti del “conventuale”, ossia di  stile gotico-floreale con i tre colori (blu, arancio, giallo), facilmente riconoscibili, alcuni resti della “famiglia della porcellana” che inizia ai primi del Cinquecento e va avanti per tutto il XVI secolo e, infine, lo stile “berettino”, particolarmente utilizzato nel vasellame fra la metà del Cinquecento e la metà dei Seicento.

L’area in questione ha una forma quadrangolare irregolare con il lato occidentale lungo circa 114 metri e quello orientale circa 140 (da notare che il lato meridionale è delimitato dalla Via Angiolina). Più o meno al centro di quell’area, trovammo tre muri portanti allineati nella direzione nord-sud, distanti ciascuno 6 metri dagli altri; il tutto ad una profondità di circa 1 metro. Giova ricordare che il podere in questione è inserito nella centuria nota come Vigo Martino.

Il Bonoli, nella sua Storia di Lugo ed annessi, ci dice che la chiesa ed il castello di Sant’Agata «erano di ragione de’ Monaci Benedettini di Ravenna, che abitavano nel Monistero di S. Maria in Cosmedin nell’anno 1377 avendo ridot [to] il Pontefice Gregorio XI. levato a’ Monaci il Convento, e ridotta la Chiesa in Commenda, le rendite della Badia da’ Monaci passarono a’ Prelati della Curia Romana. Il moderno Abate è il Cardinale Pietro Marcellino Corradini da Sezza, la padronanza nel temporale del Castello, perduta che l’ebbero i Benedettini, è caduta nelle mani di tutte le Città e de’ Principi de’ nostri contorni» e cioè Faenza, Imola, Bologna e Ferrara.

Gregorio XI (1330-1378), ultimo dei papi avignonesi, fu papa dal 1370 al 1378; in tale periodo, dunque, la chiesa di Sant’Agata fu ridotta “in commenda”. Inoltre, si legge nell’Inventario Fantinelli 1872 «Questa chiesa [cioè la parrocchiale] con Bolla della Santa Memoria di Paolo V in data 25 Ottobre 1605 divenne Abbaziale e Vicariale, e con Lettera Testimoniale […] delli 3. Ottobre 1834 fu nominata Arcipretale».

Ne consegue che dal 1605, quando si dice chiesa “abbaziale”, non ci si riferisce più all’edificio di un’abbazia, ma ad altro titolo della chiesa parrocchiale, anche se il Catasto Pasolini di Lugo (1638-1642) continua ad usare espressioni del tipo “possessione delli reverendi padri dell’Abacia di Sant’Agata” facendo credere che il convento-monastero, all’epoca, esistesse ancora.

Giovanni Baldini

 

Fonti
Topografia della Romagnola eseguita da una simile delineata dal fu’ Andrea Pasolini da’ Imola per me Gioseppe Antonio Silvagni d’Argenta, scala di pertiche 1000 di Ravenna, s.d. (XVII sec.?), ASCL, Armadio Mappe e Disegni.
Girolamo Bonoli, Storia di Lugo ed annessi, 1732 [1981];
Arch. Paolo Mazzotti, Lavori di restauro della torre dell’orologio già torre del castello. Relazione storica, 5.12.1985 (Collezione Giovanni Baldini – Lugo);
Armanda Capucci, I misteri inestricabili dell’abbazia perduta, “Giornale di massa”, luglio 1994, pag. 9;
Consulenza della prof.ssa Laura Dalmonte, ceramista e storica dell’arte, Lugo, 31.03.1999;
Scavo archeologico di lunedì 6.10.2003, presso il terreno di proprietà della famiglia Capucci sito in via Angiolina;