Ospitale e Confraternita di S.Antonio Abate, Lugo

Lugo, Ospitale e Confraternita di S.Antonio Abate

Confraternita fondata nel 1300 da Ugolino Fantinelli, Guidone Ricci e altri devoti lughesi

 

 

Nonostante questo istituto fosse uno dei più antichi di Lugo, a causa della perdita dell’archivio durante gli scontri con i faentini, non si conosce la data precisa della sua fondazione. Gli storici affermano che sia stato eretto nel 1200 da alcuni devoti di Lugo. Lo spedale e la chiesa[1] di Sant’Antonio Abate si collocavano in zona Poligaro, attuale via Manfredi, per ospitare gli infermi poveri di Lugo, i pellegrini e, dalla seconda metà del 1600, anche i mendicanti forestieri purché non fossero né ecclesiastici, né romiti[2].

La Confraternita di Sant’Antonio Abate fu fondata nel 1300 da Ugolino Fantinelli, Guidone Ricci e altri devoti lughesi che ne furono anche i primi amministratori. Era composta da trentadue confratelli che, ogni tre anni, eleggevano due ufficiali amministratori. Vestivano con cappa[3] e cappuccio di tela color nero, recavano l’immagine del santo, dipinta a olio in un ovale di rame, sulla parte sinistra del petto e alla cintola portavano un cordone con fiocco di seta nera. Sotto la guida amministrativa e spirituale dell’ufficiale della compagnia e del padre spirituale ospitavano e assistevano giornalmente i poveri infermi di Lugo e i pellegrini, partecipavano alle processioni della chiesa ed elargivano elemosine ai poveri. Dal 1700 la confraternita ebbe anche il compito di assistere i poveri, di concorrere alla carità dei baliatici e di sovvenire gli illegittimi, mantenendoli nell’Ospizio della Scaletta di Imola[4].

Lo spedale espletava, inoltre, molte altre attività caritatevoli come: la distribuzione ai poveri del pane e della carne del bove in occasione delle festività, l’offerta di frumento alle famiglie tenutarie degli illegittimi, la consegna di calzature[5] nei mesi di novembre e dicembre, l’elargizione di elemosine ai poveri ed alle putte vergognose[6], il dono della dote alle fanciulle che si maritavano e l’assistenza ai detenuti con pane, vino e indumenti. Inoltre disponeva di otto posti letto per gli uomini al piano terra e due per le donne al piano superiore, costituiti da pagliericci, materassi di tela, coperte imbottite di stoppa e lettiere. La sua attività era resa possibile grazie ad un discreto capitale composto da fondi rustici e urbani, rendite, censi e da un nutrito bestiame, che veniva accudito dal fattore della confraternita. Dai poderi si ricavava segale, frumento, fava, miglio, meliga, canova, fagioli, orzo, uva bianca e gialla e foglia di moro per i bachi da seta allevati dalla confraternita. Il personale al servizio dello Spedale di Sant’Antonio Abate comprendeva un medico chirurgo[7], un cappellano per i servizi religiosi e un fattore in veste di sacrestano della confraternita, agente di campagna e custode dei magazzini e della cantina.

Dal 1860 la sua amministrazione passò alla Congregazione di Carità di Lugo.

 

[1]  La chiesa di Sant’Antonio Abate, annessa alla fabbrica dell’ospedale, era la più ampia e spaziosa nella Lugo del 1485, caratterizzata dalla
       immagine del santo nel soffitto, opera di Benedetto Urbinate. La festa del Santo Patrono era festeggiata il 17 gennaio, giorno della sua morte,
      ed in quell’occasione si benedicevano gli animali domestici, si distribuivano le immagini del santo, che sarebbero poi state appese alle porte
      delle stalle, e si elargivano il pane per gli animali e gli uomini malati.
[2]  Eremiti.
[3]  Nel 1838 il vescovo permise ai confratelli di aggiungere alla cappa un rocchetto rosso bordò.
[4]  Le condizioni per fruire della beneficenza della Confraternita di Sant’Antonio Abate erano quelle di essere povero, nato a Lugo, e che la madre
       fosse povera e, per attestato medico, non potesse allattare.
[5]  Le fonti testamentarie dei benefattori dello spedale riferiscono che nel 1579 furono elargite 69 paia di calzature tra scarpe nere,
       morelle, pianelle e zoccoli.
[6]  In passato era considerata vergogna il “mendicare” per essere caduti in povertà per disgrazie, infortuni o per il proprio stato di salute.
[7]  Il medico visitava le puerpere povere e impossibilitate ad allattare i loro bambini, che venivano affidati a balie di professione.

 

(Fonte: Sonia Muzzarelli, Gli Spedali e le Confraternite nel Territorio Lughese, Centro Stampa dell’Azienda USL della Romagna, Ravenna, 2014)

Bibliografia: vedi scheda specifica